FAQs – Frequently Asked Questions

Per esaminare in maniera concreta il tema della copertura finanziaria del reddito di base, occorre prima definire dove reperirla.

Nel caso dell’Alaska, che questa è di natura esogena, ovvero proveniva dall’esterno. In quel caso è rappresentata da un prelievo a carico dei produttori di idrocarburi. In proposito, possono essere svariate le categorie su cui poter applicare accise al momento della produzione: carburanti, elettricità, alcolici, sigarette, fiammiferi.

Questa strada, tuttavia, non sembra percorribile in Italia a causa dell’insufficienza delle risorse naturali (pozzi di idrocarburi, sorgenti d’acqua, ecc … etc) su cui applicare imposte sulla produzione: in bilancio il nostro Paese ha entrate per accise per soli 36,2 miliardi di euro.

Per la copertura del reddito di base si dovrà fare ricorso a entrate di natura endogena. Queste si possono dividere in due categorie: imposte sul reddito da lavoro e imposte sul capitale. C’è chi non è d’accordo a colpire solo i primi:

fin dalle prime concettualizzazioni di reddito di cittadinanza a finalità redistributiva, la fonte di finanziamento maggiormente indicata quale naturale complemento del programma di spesa è stata l’imposta sul reddito. […] Ciò implica che finanziare oggi un istituto di reddito di cittadinanza attraverso l’imposizione sul reddito equivalga a scaricarne l’intero onere sulla quota-salari, esentando la quota-profitti, a livello di distribuzione funzionale del reddito.

Al contrario, sempre dalla Spagna:

gli economisti di Red Renta Bàsica propongono il finanziamento attraverso una riforma dell’IRPEF che preveda l’introduzione di un’imposta unica del 49% che elimini tutte le deduzioni e i vantaggi per i guadagni mobiliari e immobiliari, di cui beneficiano i grandi proprietari immobiliari e li equipari, così, ai guadagni da lavoro (AA.VV., 2018: 38).

Si tratterebbe, in sostanza, di una Flat Tax.

Analizziamo più in dettaglio questa ipotesi. Il reddito complessivo che viene dichiarato, in Italia, dalle persone fisiche ammonta a 842,9 miliardi di euro. Applicando una tassazione del 49% si calcolerebbe un’Imposta sui Redditi di oltre 410 miliardi. Secondo la proposta degli spagnoli di Red Renta Bàsica, sarebbe soppressa ogni forma di detrazione d’imposta (per lavoro dipendente o pensione, per carichi di famiglia) e di oneri deducibili (per spese sanitarie, contributi previdenziali, scolastiche, mutui, ecc.). Le maggiori entrate tra questa ipotesi (si possono prevedere 410 miliardi) e le attuali entrate nette (179 miliardi), coprirebbero perfettamente un reddito di base universale da 600 euro mensili per l’area dei beneficiari prima indicata.

Si tratta, tuttavia, di un’ipotesi troppo drastica. Si può prevedere, infatti, di raggiungere l’obiettivo anche con un’aliquota di tassazione inferiore. Un’altra associazione spagnola impegnata a sostegno del reddito di base, Humanistas por la Renta Basica, propone una tassazione flat del 35% e la copertura della differenza (120 miliardi) tramite:

altre possibili fonti alternative:  la Tobin Tax (imposta dello 0,01% sulle transazioni finanziarie) la creazione di un’imposta sui robot che compensi la perdita di contributi per i posti di lavoro persi. In quest’ultima direzione è stata avanzata una proposta legislativa al Parlamento Europeo.

Non dimentichiamo, tra le strade percorribili per finanziare il reddito di base, quelle indicate nelle proposte di legge Catalfo e Guerra in precedenza citate.

 

 

Un trend che si osserva nei momenti di crisi economica è quello che vede i lavori automatizzabili scomparire, ed essere effettivamente automatizzati. I capitalisti utilizzano i periodi di crisi per eliminare i posti di lavoro eliminabili. Questo è un trend globale. Solitamente, questa diminuzione dei posti di lavoro è seguita da uno sforzo nella creazione di nuovi posti di lavoro, attraverso (per esempio) la privatizzazione di beni comuni o pubblici, e la creazione di nuove industrie basate su di essi. Al giorno d’oggi la maggior parte dei posti di lavoro creati per far fronte alla disoccupazione sono nel settore dei lavori cognitivi ad alta competenza, che per via della non-ripetitività non sono facilmente automatizzabili. Tuttavia, questo modo di far fronte alla crisi economica ha diversi problemi.

Innanzitutto, come è stato provato da degli studi, questi lavori tendono ad essere inutili e deleteri per la psiche delle lavoratrici e dei lavoratori. Perché creare artificialmente dei posti di lavoro di cui non c’è bisogno, impiegando il tempo dei lavoratori e delle lavoratrici in attività inutili e quindi non appaganti, con il semplice scopo di offrire loro un salario che permetta loro di sopravvivere?

Una soluzione più semplice per far fronte alla minore richiesta di lavoro è semplicemente permettere alle lavoratrici e ai lavoratori di lavorare orari più brevi.

Un altro fattore importante che parla a favore della seconda strategia (riduzione dell’orario di lavoro) piuttosto che la prima (creazione di posti di lavoro extra) è la crisi climatica che stiamo fronteggiando. È dimostrato che una soluzione per il problema delle alte emissioni che la nostra economia produce è ridurre la nostra economia. Cosa è inteso con “ridurre la nostra economia”? Semplicemente occupare meno spazio all’interno degli ecosistemi con le attività umane, utilizzare meno risorse, e il modo in cui questo è possibile è riducendo e invertendo la crescita economica. Questa è la tesi dietro alla scuola di pensiero in economia detta “descrescita felice”, il cui scopo è di proporre una pratica economica che tenga conto del contesto ecologico in cui le attività umane sono situate. In particolare, per quanti riguarda la riduzione dell’orario di lavoro e il diritto alla disconnessione, tali misure risulterebbero in una diminuzione del consumo di energia e quindi dell’impronta ecologica. Inoltre, la creazione di tempo libero produrrebbe molte alte condizioni che indirettamente condurrebbero al risparmio energetico e del consumo in generale. Secondo questo pensiero, la riduzione dell’orario del lavoro non solo è la risposta alla crisi economica, ma anche a quella ecologica.